Vini “omologati”, per slow food
lo sterco del demonio.
In un recente articolo di Fabio Pracchia sono gli
enologi a finire questa volta sul banco degli imputati, colpevoli di rendere
una larga fetta dei vini presenti sul mercato tutti molto simili gli uni agli
altri, privi di personalità, in un trionfo del capitalismo consumista sulle
tradizioni “slow” e sul territorio, con tutti i suoi annessi e connessi di
specificità.
La critica sembra tuttavia
poggiare su fondamenta poco solide. Anzitutto l’evidenza empirica parrebbe andare
in direzione esattamente opposta: negli ultimi anni si è assistito infatti ad
un continuo rifiorire di vitigni autoctoni, bottiglie “bio” e manifestazioni
che fanno del recupero e della valorizzazione di antiche tradizioni la propria bandiera. La rivincita del "diverso" e del carattere insomma, che proprio il successo di Slow Food è lì a testimoniare.
In secondo luogo la critica al
vino "easy" dimentica che, fra i consumatori di vino, gli eno-appassionati sempre
in cerca di qualcosa che sappia stupire narici e palati sono in realtà una
minoranza. Il consumatore medio ingurgita vini relativamente economici in cerca di momenti di banale piacevolezza, fra sentori piacioni
di frutta e sensazioni di semplice freschezza e morbidezza in bocca. E nel concedersi per le feste comandate
un bel barolo assieme a dei crostacei, o
uno champagnino assieme al pandoro, demolendo in un solo istante anni di studi
su possibili tecniche di abbinamento, è spesso in cerca di un qualcosa che sia
identico a qualsiasi latitudine, rassicurante nella sua scontata quanto
economica perfezione, un po’ come quando all’estero ci rifugiamo nel primo mc
donald’s per sfuggire ai misteriosi intrugli offerti dalla bancarella
all’angolo.
E l’aspetto economico è di vitale
importanza, perché non tutti possono permettersi di spendere soldi in bottiglie
di personalità che spesso tuttavia hanno un naso poco pulito o necessitano di
anni passati in cantina nella speranza che i tannini diventino finalmente
godibili. Se ci mettiamo nei panni dei produttori le cose non cambiano poi molto: quanti sono i fuoriclasse che possono permettersi di ignorare i gusti della massa alla ricerca di vini di carattere? Scagliarsi contro l'omologazione del gusto coi soldi degli altri è certamente facile, ma probabilmente poco rispettoso di chi, attraverso i propri capitali e la propria fatica, intraprende liberamente una strada con l'intento di soddisfare clienti altrettanto liberi di scegliere fra proposte diverse.
Vino mediamente ben fatto ed accessibile a tutti, è questa la forza del vino omologato. E scusate se è poco.
Vino mediamente ben fatto ed accessibile a tutti, è questa la forza del vino omologato. E scusate se è poco.
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