martedì 16 dicembre 2014

Siamo tutti "internazionali"

Bere i vini dell’azienda libanese Chateau Musar mette in poche ore dinanzi a molte delle contraddizioni che caratterizzano la nostra epoca, costringendo chi beve a cambiare prospettiva. Nell’era della riscossa dei vitigni “autoctoni”, che specie in Italia stanno vivendo una sorta di età dell’oro, suona infatti strano bere vini prodotti là dove – kilometro più kilometro meno - l’intera storia del vino ha avuto inizio, vicino al Caucaso. E’ proprio da qui infatti che – grazie ai Fenici - le prime piantine di vitis vinifera hanno preso il largo per giungere fino alle coste della nostra penisola, e se ci sforziamo di risalire alle origini del nettare che allieta oggi le nostre tavole, ecco che d’improvviso tutti i nostri vitigni diventano “internazionali”, perlomeno rispetto a quella genesi lontana nel tempo e nello spazio.

Il protezionismo mascherato di nobili propositi che ammanta alcune delle nostre produzioni viene così prontamente smascherato: se gli antichi avessero ragionato come fanno oggi molti di noi, e non si fossero aperti alle novità provenienti da altri mondi e culture, pronti a coglierne i frutti, oggi racconteremmo probabilmente un’altra storia. E la spocchiosa ritrosia con cui nel 2014 molti di noi guardano alle varietà nate oltreconfine fa quasi tenerezza, nel mentre si assaporano le sette bottiglie in degustazione.

Ecco di seguito alcune note sulle due piccole verticali condotte da Francesco Villa. Il bianco è a base di Obaideh e Merwah, il rosso vede invece presenti in uvaggio Cabernet Sauvignon, Cinsault e Carignano.

CHATEAU MUSAR WHITE 1995: fra i bianchi è quello che ha la maggiore eleganza e finezza al naso, fra complessi sentori di fico, miele, albicocche, burro, gesso, erbe, vaniglia e note balsamiche e di ossidazione. In bocca è di buon corpo, e nonostante il peso degli anni ancora fresco. Sicuramente, nella mini-verticale di White, è questa la bottiglia in cui durezze e morbidezze risultano maggiormente fuse ed integrate fra loro. Da provare con un petto di anatra ai fichi.  

CHATEAU MUSAR WHITE 2000: al naso dominano note di caramello ed un’affumicatura che comportano una piccola perdita di eleganza, oltre a sentori di zenzero e zafferano; in bocca ha un pronunciato retrogusto di miele amaro e lascia quasi un’idea di vinsanto per la notevole ossidazione che si percepisce.

CHATEAU MUSAR WHITE 2003: al naso è il più minerale fra i bianchi, con note di idrocarburo che quasi “rieslingheggiano”, si percepiscono inoltre note di frutta secca, tabacco, miele e anche in questo caso la caratteristica ossidazione. In bocca il vino è fresco, ma l’acidità non riesce a ripulire del tutto la bocca da una sottile patina di grasso che avvolge il palato.

 CHATEAU MUSAR RED 2007 : bottiglia difettata, tappo!

CHATEAU MUSAR RED 2004 : il più in evidenza fra i rossi, una piccola nota animale si fa sentire in prima battuta al naso, ma lascia subito spazio a frutta nera e rossa mature, un tocco di peperone, fiori, rosmarino e spezie dolci, che si aprono con una eleganza degna di nota. In bocca il tannino è ancora vigoroso, ed il vino deve forse essere atteso ancora qualche tempo per poter esprimere il meglio di sé. I vini di Cahteau Musar sono fatti del resto per durare nei decenni, come testimoniano le annate tuttora in vendita. Già adesso ne berresti comunque un secchio, tant’è che a fine serata i bicchieri risultano inesorabilmente vuoti.

CHATEAU MUSAR RED 2000: i patiti del sentore di sotto-sella di cavallo sono in estasi, per gli altri si tratta invece di una interessantissima lezione sul famigerato brettanomyces. La bocca è più integrata rispetto alla 2004, ma anche in retrolfattiva i sentori animali e floreali risultano particolarmente invasivi. La bottiglia tuttavia è probabilmente di quelle da far respirare, ché dopo un’ora nel bicchiere fa capolino una interessante nota balsamica. 

CHATEAU MUSAR RED 1997: il naso è sulla falsariga della 2000. Cuoio, sentori animali e cimiteriali risultano tuttavia un po’ meno invasivamente fastidiosi. Anche qui, come nelle altre bottiglie del lotto, i classici sentori vegetali del Cabernet faticano ad emergere, forse a causa del clima particolarmente caldo del Libano che ne ostacola lo sviluppo. Interessante la bocca con un tannino levigato ed una buona freschezza. 

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