domenica 14 settembre 2014

E il naufragar m'è dolce in questo tokaji...

Dopo una buona Riserva di Vernaccia di San Gimignano Panizzi annata 2010, bevuta con piacere assieme ad un branzino al forno con patate, ho concluso la scorsa serata fra amici con due interessanti bottiglie provenienti rispettivamente da Ungheria e Liguria.

Il Patricius è fra i Tokaji più conosciuti (una cinquantina i produttori migliori), le uve utilizzate per produrre questo nettare sono principalmente il Furmint, che matura tardivamente ed è per questo particolarmente adatto alla produzione di un vino simile, e l'Harzevelu, un vitigno vigoroso dotato di minore eleganza ma capace di apportare particolari aromi speziati al vino. Sulla mia tavola un Aszù 6 puttonyos, vale a dire un vino dolce (nel nostro caso 185 gr./lt. di zuccheri residui) prodotto tramite l'utilizzo di uve attaccate dalla botrite, una muffa che, sviluppandosi in particolari condizioni di umidità e temperatura, diventa "nobile" conferendo ai vini che ne risultano particolari aromi ed una maggiore concentrazione zuccherina. I puttonyos altro non sono che antiche gerle di legno da 20-26 kili in cui un tempo venivano raccolte le uve botritizzate: maggiore è il numero di puttonyios, maggiore sarà la dolcezza del vino ottenuto attraverso l'aggiunta di tali uve botritizzate al mosto "base". 

Il vino, dal colore giallo dorato, presenta un naso decisamente evoluto e complesso. L'annata è la 2003, particolarmente calda tanto che in Ungheria alcuni produttori furono costretti ad aiutare gli Aszù con uva appassita, in quanto in molti casi la muffa nobile non riuscì a svilupparsi. Al naso si avvertono netti sentori di frutta tropicale, ananas su tutti, pesca spaccata, idrocarburi, miele, albicocche in confettura, canditi, fiori gialli appassiti, con una intensità vibrante ed una buona eleganza. In bocca lo zucchero e la glicerina affaticano però il palato, e l'acidità non riesce a fare pulizia, con una patina di dolcezza che resta lì e non invoglia molto al nuovo sorso. Al primo tokaji della mia vita, tuttavia, si perdona questo e altro. Un vino quasi "eroico" il tokaji, frutto com'è delle nebbie che salgono dai fiumi Bodrog e Tibisco, di pazienti raccolte manuali e lavorazioni accurate e minuziose. Un vino, come dice Andrea Scanzi ne "Il vino degli altri", che "ha in sé qualcosa di malinconico, di crepuscolare. Quasi testamentario. E' quasi un vino da congedo, da arrivederci, da addio. E non esiste congedo migliore di quello che finisce con un'eco, netta e indimenticabile, di dolcezza". 

In Italia il Furmint non viene coltivato, ma se si parla di vini dolci non si può fare a meno di imbattersi, prima o poi, in una bottiglia di sciacchetrà.  Questa sì che è una viticoltura davvero "eroica": un numero di bottiglie ridottissimo prodotto da pochi ettari di vigneti aggrappati alle strette e ripide terrazze liguri, una denominazione a rischio di estinzione che pochi volenterosi stanno cercando di mantenere in vita. Bosco, Albarola e Vermentino, queste le uve utilizzate dalla Cantina Cinque Terre: al naso dominano le erbe aromatiche, salvia, rosmarino a cui si accompagnano sentori di frutta secca ed albicocche disidratate. L'annata è una 2011, relativamente giovane tanto che lo spettro olfattivo non è così complesso come quello del tokaji. La bocca è però molto sapida, fresca, iodata, tanto che la dolcezza risulta ben bilanciata e la beva sorprendentemente facile.

Tokaji e Sciacchetrà: perché la vita è spesso molto amara e un po' di dolcezza a tavola, a volte, aiuta ad affrontarla meglio.

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