“Gravity, is working against me”, canta John Mayer, e non può essere altrimenti. E’ solo la forza di gravità che ti impedisce di volare tre metri sopra il cielo (ebbene sì, da Mayer a Moccia) quando i tuoi occhi incrociano la bellezza disarmante di Castellina in Chianti: vigneti a picco sulla collina sassosa, il bosco, gli ulivi, l’aria frizzante, e quei filari che si perdono all’orizzonte, è così che l’azienda agricola Querceto di Castellina mi si è presentata innanzi in tutto il suo splendore.
Ad accompagnarmi nella visita l’amico Valerio Grella, factotum di Querceto, assieme al proprietario Jacopo Di Battista, che negli anni Novanta ha preso il timone dell'azienda, a conduzione biologica dallo scorso 2008. I puristi del sangiovese si tappino naso, occhi ed orecchie, perché qua si coltivano con orgoglio merlot, viognier e roussanne, e si fa un uso abbastanza spinto della barrique, la piccola botte di rovere francese un tempo imprescindibile ma oggi caduta un po’ in disgrazia. Del resto buona parte della produzione prende il volo per gli Stati Uniti, dove un certo gusto più opulento la fa da padrone, e un pezzo della famiglia Di Battista parla francese, ad ulteriore testimonianza della internazionalità del sangue che scorre nelle vene. Certo, Valerio mi racconta che la moda imperante, fatta di vini “naturali”, sta spingendo l’azienda ad un parziale riposizionamento, con l’acquisto di alcuni tonneau (le botti di dimensioni maggiori) e il riutilizzo di botti già impiegate, nel tentativo di smorzare gli effetti del legno sul vino e di farlo sembrare così meno artefatto. E pazienza se la donna che abbiamo davanti ha i baffi ed è struccata, l’importante – pare – è che sia “naturale”.
Con le sue cinquantamila bottiglie prodotte all’anno, Querceto di Castellina non ha tuttavia bisogno di particolari maquillages: la cura dedicata agli spazi è quella delle grandi aziende, come si intuisce soffermandosi sulla splendida vigna “Livia”, riservata ai vitigni che danno vita all’omonimo bianco della casa, con quel suo muretto in pietra che ricorda molto i clos della Borgogna.
La degustazione condotta assieme a Valerio e Jacopo si è concentrata in particolare sulla bottiglia di punta della casa, il “Podalirio”, un merlot 100% più volte premiato da Wine Spectator, con una verticale di assaggi dal 2004 ad oggi. La Toscana non è probabilmente il luogo più adatto per coltivare questo vitigno, in quanto il clima è mediamente molto caldo e quindi il merlot, che arriva a maturazione relativamente presto, finisce spesso con l’essere vendemmiato sovramaturo, nel tentativo di attendere una formazione ottimale dei tannini. A risentirne è così spesso l’eleganza dei profumi, che risulteranno certo intensi ma talvolta non molto fini. A Castellina tuttavia, forse per l’altitudine media attorno ai 480 metri slm, il Podalirio sembra riuscire a coniugare intensità e raffinatezza, potenza ed eleganza.
Le bottiglie più vecchie (in particolare le annate 2004 e 2005), pur caratterizzate da un tannino che inizia, a tratti, a mostrarsi polveroso, rivelano al naso un notevole grado di complessità: la vaniglia e la cannella del legno sono in primo piano, ma la polpa del frutto è ben avvertibile, fra prugne e ciliegie in confettura; e quando il bicchiere si scalda un po’, ecco che emergono caffè di moca e cacao, in un finale forse non lunghissimo ma appagante.
Il vino è morbido, ma la freschezza acida invoglia a berne ancora, cosa non così usuale per un merlot, in genere piacione ma un po’ affaticante per il palato. Le annate più recenti palesano al naso una qualche sensazione verde, ma le bottiglie mostrano sin da ora di essere pronte per la tavola.
Interessante anche l’assaggio del bianco, prodotto in sole 1.200 bottiglie per l’annata 2012: anche qui la vaniglia della barrique è in primo piano, ma una pesca spaccata ed un bel floreale completano le sensazioni olfattive. Le note dolci proseguono anche in bocca, dove tuttavia sapidità e freschezza rendono la beva piacevole. A breve Querceto uscirà poi con la Gran Selezione di Chianti Classico, abbandonando la produzione dell’attuale Riserva: e il duro mestiere del sommelier, con la curiosità che lo contraddistingue, ci costringerà a tornare presto in questo angolo di paradiso.