martedì 29 luglio 2014

Una farfalla nel Chianti

“Gravity, is working against me”, canta John Mayer, e non può essere altrimenti. E’ solo la forza di gravità che ti impedisce di volare tre metri sopra il cielo (ebbene sì, da Mayer a Moccia) quando i tuoi occhi incrociano la bellezza disarmante di Castellina in Chianti: vigneti a picco sulla collina sassosa, il bosco, gli ulivi, l’aria frizzante, e quei filari che si perdono all’orizzonte, è così che l’azienda agricola Querceto di Castellina mi si è presentata innanzi in tutto il suo splendore.
Ad accompagnarmi nella visita l’amico Valerio Grella, factotum di Querceto, assieme al proprietario Jacopo Di Battista, che negli anni Novanta ha preso il timone dell'azienda, a conduzione biologica dallo scorso 2008. I puristi del sangiovese si tappino naso, occhi ed orecchie, perché qua si coltivano con orgoglio merlot, viognier e roussanne, e si fa un uso abbastanza spinto della barrique, la piccola botte di rovere francese un tempo imprescindibile ma oggi caduta un po’ in disgrazia. Del resto buona parte della produzione prende il volo per gli Stati Uniti, dove un certo gusto più opulento la fa da padrone, e un pezzo della famiglia Di Battista parla francese, ad ulteriore testimonianza della internazionalità del sangue che scorre nelle vene. Certo, Valerio mi racconta che la moda imperante, fatta di vini “naturali”, sta spingendo l’azienda ad un parziale riposizionamento, con l’acquisto di alcuni tonneau (le botti di dimensioni maggiori) e il riutilizzo di botti già impiegate, nel tentativo di smorzare gli effetti del legno sul vino e di farlo sembrare così meno artefatto. E pazienza se la donna che abbiamo davanti ha i baffi ed è struccata, l’importante – pare – è che sia “naturale”. 
Con le sue cinquantamila bottiglie prodotte all’anno, Querceto di Castellina non ha tuttavia bisogno di particolari maquillages: la cura dedicata agli spazi è quella delle grandi aziende, come si intuisce soffermandosi sulla splendida vigna “Livia”, riservata ai vitigni che danno vita all’omonimo bianco della casa, con quel suo muretto in pietra che ricorda molto i clos della Borgogna.
La degustazione condotta assieme a Valerio e Jacopo si è concentrata in particolare sulla bottiglia di punta della casa, il “Podalirio”, un merlot 100% più volte premiato da Wine Spectator, con una verticale di assaggi dal 2004 ad oggi. La Toscana non è probabilmente il luogo più adatto per coltivare questo vitigno, in quanto il clima è mediamente molto caldo e quindi il merlot, che arriva a maturazione relativamente presto, finisce spesso con l’essere vendemmiato sovramaturo, nel tentativo di attendere una formazione ottimale dei tannini.  A risentirne è così spesso l’eleganza dei profumi, che risulteranno certo intensi ma talvolta non molto fini. A Castellina tuttavia, forse per l’altitudine media attorno ai 480 metri slm, il Podalirio sembra riuscire a coniugare intensità e raffinatezza, potenza ed eleganza.
Le bottiglie più vecchie (in particolare le annate 2004 e 2005), pur caratterizzate da un tannino che inizia, a tratti, a mostrarsi polveroso, rivelano al naso un notevole grado di complessità: la vaniglia e la cannella del legno sono in primo piano, ma la polpa del frutto è ben avvertibile, fra prugne e ciliegie in confettura; e quando il bicchiere si scalda un po’, ecco che emergono caffè di moca e cacao, in un finale forse non lunghissimo ma appagante.
Il vino è morbido, ma la freschezza acida invoglia a berne ancora, cosa non così usuale per un merlot, in genere piacione ma un po’ affaticante per il palato. Le annate più recenti palesano al naso una qualche sensazione verde, ma le bottiglie mostrano sin da ora di essere pronte per la tavola.
Interessante anche l’assaggio del bianco, prodotto in sole 1.200 bottiglie per l’annata 2012: anche qui la vaniglia della barrique è in primo piano, ma una pesca spaccata ed un bel floreale completano le sensazioni  olfattive. Le note dolci proseguono anche in bocca, dove tuttavia sapidità e freschezza rendono la beva piacevole. A breve Querceto uscirà poi con la Gran Selezione di Chianti Classico, abbandonando la produzione dell’attuale Riserva: e il duro mestiere del sommelier, con la curiosità che lo contraddistingue, ci costringerà a tornare presto in questo angolo di paradiso.



domenica 20 luglio 2014

Degustati per voi: vermentino di Gallura Tondini

In queste settimane il vino è stato ripetutamente  sotto attacco ad opera dei soliti studi pseudo-scientifici che spacciano statistiche raffazzonate per scienza, e molte delle qualità e degli effetti benefici tipicamente associati ad esso sono stati messi in discussione, se non addirittura rovesciati. Nessuno potrà mai negare tuttavia la capacità del prezioso nettare di trasportarti con la mente altrove, in una esperienza che ha talvolta i caratteri del paranormale.

Capita cosi che in una calda giornata estiva in quel di Faenza sembri magicamente di trovarsi in riva al mare, in Costa Smeralda, dimenticando con due sorsi di vermentino di Gallura la calura e gli affanni della settimana appena trascorsa.

Il Vermentino è un vitigno coltivato prevalentemente fra Liguria, Toscana, Lazio, Corsica e, appunto, Sardegna, che predilige luoghi ben soleggiati e di collina, preferibilmente vicino al mare. In Costa Smeralda dà vita all'unica DOCG sarda, che ho deciso di assaggiare all'osteria La Baita nella versione superiore proposta dalla cantina Tondini. Il locale, da frequentatore assiduo del faentino, è uno dei più interessanti della zona, anche se affetto da un pizzico di "sindrome di Cracco", che spinge talvolta la cucina ad avventurarsi in accostamenti e ricercatezze quantomeno discutibili. La materia prima è comunque di qualità, e la carta dei vini di un certo interesse.

Il Karagnanj annata 2013 si presenta con un colore giallo paglierino di una certa intensità, dovuta presumibilmente alla macerazione pellicolare prefermentativa effettuata a temperatura controllata in modo da estrarre al meglio tutti gli aromi possibili, mantenendo per un po' il mosto a contatto con le bucce. La stessa macerazione pellicolare comporta inoltre una salificazione parziale dell'acido tartarico, riducendo così l'acidità del vino, che si presenta infatti fresco ma certo non affilato, anche grazie all'alcol (14,5%) che dona al vino una pseudo-dolcezza avvolgente per il palato. 

Al naso dominano gli agrumi, l'albicocca e la macchia mediterranea, mentre in bocca si avverte una sfumatura amarognola di mandorla. Il grado alcolico importante, che richiederebbe di norma piatti di una certa struttura, non impedisce a questo vermentino di sposarsi a meraviglia con del carpaccio di pesce spada, e di fare la sua figura con dei tagliolini al ragu di mare povero, mandorle e ricotta affumicata. Difficile invece la partita con un carpaccio di salmone, la cui affumicatura ed intensità finiscono col sovrastare il bicchiere.


sabato 12 luglio 2014

A spasso fra le stelle

Passione, è questa la parola che meglio di tutte sintetizza il mio incontro con Giorgio, proprietario dell’azienda agricola “Il Palagione”: è infatti la sua antica ma mai sopita passione per le stelle a donare il nome alle bottiglie prodotte; è la passione per la Toscana che ha condotto lui e sua moglie sin qui, fra i boschi di Castel San Gimignano, costringendolo a fare su e giù dalla natìa Milano per ben diciotto anni; ed è la passione per la campagna e per il buon vino che lo ha spinto a mollare lo stress della città per trascorrere il resto dei propri giorni fra botti e vigne, impegnato nella realizzazione del proprio sogno. “Non si deve mai smettere di sognare”, ammonisce Giorgio, e se la passione e la capacità di sognare non sono magari sufficienti ad ottenere buoni risultati, probabilmente ne sono tuttavia condizione necessaria.

Con le sue cinquantamila bottiglie prodotte all’anno, Il Palagione sembra rappresentare un’armonica sintesi fra tradizione e innovazione: attenzione ai vitigni autoctoni, produzione certificata biologica e impiego di lieviti indigeni da una parte, utilizzo abbastanza diffuso della barrique per avere vini subito “pronti” dall’altro, il tutto si fonde in un unicum privo di quegli eccessi tanto di moda che finiscono col rendere spesso una bottiglia di vino più simile ad un manifesto ideologico che non ad uno strumento per il piacere.

L’80% circa delle vendite è diretto verso l’estero, Giappone, Germania e Stati Uniti su tutti, e il proprietario ha di recente acquistato nuovi terreni a San Gimignano, con l’intenzione – almeno in una prima fase - di vinificarne le uve a parte. Cinque gli assaggi propostimi, fra cui spiccano Vernaccia di San Gimignano Docg e Chianti Colli Senesi Docg, le bottiglie che costituiscono di fatto l’ “ossatura” dell’azienda.

HYDRA Vernaccia di San Gimignano 2013: il naso è quello tipico di una Vernaccia 100%, un po’ timido e in punta di piedi, ma capace di regalare ai più pazienti piacevoli sorprese: timo limonato, agrumi, acacia e gesso su tutti, con buona intensità ed eleganza.

In bocca il vino è di buon corpo, caldo (a Castel San Gimignano, mi dice Giorgio, si fatica a rimanere sotto i 13%), fresco, sapido, con un leggero retrogusto di mandorla amara, non molto persistente. Abbinamento ideale con i crostacei, ma attenzione alla piccantezza del piatto che potrebbe stridere con il leggero retrogusto amaricante del vino.



ORI Vernaccia di San Gimignano Riserva 2011: si presenta al naso con canfora, pompelmo e note conferite al vino dalla permanenza in legno, fra vaniglia e sentori di tabacco.

In bocca è morbida (grazie alla fermentazione malolattica svolta in botti di legno), calda, sinuosa, abbinabile a secondi di carne bianca non troppo strutturati (anche in questo caso la persistenza è sufficiente) come un coniglio, magari cotto proprio nella Vernaccia.



CAELUM Chianti Colli Senesi 2013: un 100% Sangiovese con le sue classiche e rassicuranti note di ciliegia e mammola, condite da un tocco fumé conferito al vino dal legno di secondo passaggio in cui avviene la fermentazione malolattica.

In bocca è giustamente tannico, caldo e fresco, un vino di pronta e facile beva, in linea con lo stile della casa.